Lo scorso giugno pubblicammo una prima versione del Manifesto della convivialità.
Ora abbiamo la versione ufficiale, tradotta in italiano da Francesco Fistetti. Eccola qui: potete scaricarla in PDF. Per la versione integrale potete invece visitare il sito francese Les Convivialistes dove otete anche sottoscrivere il manifesto stesso e leggere l'interessante materiale messo a disposizione per supportare e animare il dibattito.
Tra i molti sottoscrittori c'è anche la nostra Elena Pulcini che ha scritto un bellissimo commento, che riportiamo integralmente:
Ciò che fin dall’inizio mi ha colpita sul piano generale è la coesistenza di una diagnosi teorica e di uno spirito militante: coesistenza rara, soprattutto nel mio paese, l’Italia, dove purtroppo accade spesso che i due aspetti restino separati; dando origine ad una teoria senza passione politica e ad una politica incapace di affrontare i grandi temi e le grandi sfide dell’umanità.
Ora abbiamo la versione ufficiale, tradotta in italiano da Francesco Fistetti. Eccola qui: potete scaricarla in PDF. Per la versione integrale potete invece visitare il sito francese Les Convivialistes dove otete anche sottoscrivere il manifesto stesso e leggere l'interessante materiale messo a disposizione per supportare e animare il dibattito.
Tra i molti sottoscrittori c'è anche la nostra Elena Pulcini che ha scritto un bellissimo commento, che riportiamo integralmente:
Ho avuto l’onore e il piacere di partecipare attivamente alla riflessione confluita infine, grazie al prezioso lavoro di Alain Caillé, nel Manifeste convivialiste.
Ciò che fin dall’inizio mi ha colpita sul piano generale è la coesistenza di una diagnosi teorica e di uno spirito militante: coesistenza rara, soprattutto nel mio paese, l’Italia, dove purtroppo accade spesso che i due aspetti restino separati; dando origine ad una teoria senza passione politica e ad una politica incapace di affrontare i grandi temi e le grandi sfide dell’umanità.
L’età globale ci pone di fronte
a sfide inedite che per lo più stentiamo a riconoscere nella loro gravità,
rifugiandoci in una sorta di diniego o di rassegnata impotenza. Ma il fatto è
che siamo oggi di fronte agli effetti imprevisti e indesiderati del nostro
agire: un agire illimitato, guidato da una hybris
che caratterizza fin dal suo nascere l’individuo moderno, tanto da rivelarsi
paradossalmente ostile alla vita, alla natura, alla relazione. Una parte della
filosofia del ‘900 aveva già perfettamente intuito la deriva prometeica della
modernità, le sue patologie, la perdita di senso e di scopo dell’agire; una
deriva che nell’età globale subisce un processo di radicalizzazione in assenza
delle tradizionali strategie, morali e politiche, di contenimento.
Ma è vero anche, come il Manifesto sottolinea con forza, che
l’età globale contiene una chance
inedita: poiché per la prima volta nella storia possiamo considerarci un’unica
umanità. Siamo uniti, al di là delle differenze di classe, etnia, nazionalità,
cultura, da quelle stesse sfide e da quegli stessi rischi globali che
minacciano la nostra vita e quella delle generazioni future. Il che non vuol
dire sottovalutare le disuguaglianze, oggi quanto mai profonde e radicali. In
questo senso, dobbiamo affrontare un problema di giustizia e dobbiamo farlo attraverso un ripensamento di fondo, e
coraggioso, della logica acquisitiva dell’economia, dei miti del progresso e
della crescita. E non vuol dire neppure proporre una visione irenica e
pacificata dell’umanità. Condivido pienamente a questo proposito,
l’affermazione della funzione emancipativa del conflitto: perché solo riconoscendo la necessità del conflitto e
coltivando la capacità di gestirlo, possiamo combattere la violenza; possiamo,
appunto, confrontarci senza massacrarci.
D’altra parte è solo avendo
cura della relazione, dell’essere in
comune che possiamo aver cura di ciò che abbiamo in comune: la terra, le risorse, i beni che garantiscono la
vita dell’umanità presente e futura. La questione ecologica, la cura
dell’ambiente e del pianeta diventa oggi una questione cruciale, della quale
non sempre, come accennavo, si riconosce l’urgenza. Giustamente il
Manifesto afferma la centralità della
questione ecologica, sottolineando la necessità di quell’ottica donativa che
abbiamo sacrificato all’interesse e all’utile, scontandone paradossalmente le
conseguenze negative. Oggi non abbiamo solo un problema di giustizia ma anche
un problema di buona vita, o meglio il problema di consegnare alle generazioni
future un mondo in cui la vita sia degna di essere vissuta.
Convivialismo
è « un’arte di vivere insieme (con-vivere) che consenta agli esseri umani di prendersi cura gli
uni degli altri e della Natura». Cura
della relazione, cura del mondo: se la cura
è, come mi piace pensare, la parola d’ordine del convivialismo, credo anche che
essa non possa essere affidata al senso del dovere o ad imperativi astratti, ma
appunto alla consapevolezza di appartenere ad un’unica umanità. Questa
consapevolezza può trovare alimento nel risveglio delle passioni: passioni di lotta come l’indignazione, passioni solidali
o empatiche come il sentimento di giustizia, la generosità, la compassione, il
sentimento di appartenenza. Sono passioni che si manifestano oggi in una serie
di realtà, come i molteplici movimenti sociali globali. Per questo è
essenziale, come il Manifesto si propone di fare, scongiurare la frammentazione
di queste realtà, connetterle tra loro, valorizzarne gli aspetti comuni,
affinché possano ottenere visibilità e diventare portatori di una nuova visione
del mondo.
Elena Pulcini
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